Riportiamo di seguito la riflessione tenuta al convegno delle Abbedesse dall’allora Rettore del Pontificio Ateneo S. Anselmo, Padre Pius Ramon Tragan osb, nel gennaio 1986 sul contesto e le opportunità di uno Studio Teologico.
VITA MONASTICA E FORMAZIONE TEOLOGICA
La crescita culturale e teologica all’interno dei monasteri benedettini femminili è diventata oggi una condizione indispensabile per l’arricchimento della preghiera – liturgica e privata -, per un ascolto più approfondito della lectio divina e per un senso più creativo e religioso del lavoro. I monasteri benedettini maschili, in diversi paesi, lavorano in molti modi e cercano le forme più adatte per offrire una formazione teologica ai loro giovani membri, indipendentemente dalla loro destinazione al sacerdozio.
Le monache benedettine non possono rimanere emarginate da questa promozione teologica, sentita necessaria anche dalle religiose di congregazioni di vita attiva e particolarmente desiderata dai cristiani laici per approfondire la loro fede e per una conoscenza più ricca della Sacra Scrittura. Stiamo vivendo, infatti, una svolta nella promozione e nella formazione della fede dei credenti, la quale non essendo più un patrimonio sociale sostenuto e trasmesso quasi spontaneamente, deve essere più riflettuta, più matura ed approfondita, secondo le esigenze del nostro tempo e della volontà della Chiesa. Bisogna ormai saper rendere rationem spei nostrae.
Questa svolta è molto presente e viva nei monasteri benedettini femminili italiani. Il loro interesse culturale e teologico si mostra in tante iniziative dei monasteri singoli e nella collaborazione mutua che ha dato origine ai corsi per le Abbadesse ed anche ai corsi estivi.Come complemento necessario a questi sforzi – che hanno già dato tanti frutti e continuano ad essere un aiuto efficace per le comunità – e come risposta seria a questa svolta verso una maturazione culturale e teologica di tutte le monache, è stato creato lo Studio Teologico per le Benedettine italiane (STBI), annessa all’Ateneo di S. Anselmo, appartenente alla CIMB.
L’interesse di questo centro docente per le monache benedettine italiane a Roma è stato accolto e incoraggiato dalle alte autorità della Congregazione per i Religiosi, dall’Abate Primate della Confederazione Benedettina e dal Rettore dell’Ateneo di S. Anselmo.Questo Studio Teologico offre la possibilità di eseguire in un ambito di clausura monastica, uno studio teologico regolare, approfondito e coerente. Una teologia di carattere sapienziale adatta, cioè, alla vita delle monache benedettine.L’insegnamento è impartito da monaci benedettini qualificati, in buona parte professori dell’Ateneo Anselmiano. Lo Studio offre un’alternativa unica, che compensa ampiamente l’assenza temporanea delle monache studenti dalla propria comunità. Il programma unitario e strutturato che permette una formazione teologica fondamentale, adatta alla preparazione intellettuale di molte monache, da una parte non si limita alle conferenze e ai corsi saltuari organizzati da ogni monastero e, dall’altra non richiede di frequentare una Facoltà di Teologia, ciò che rimane sempre limitato ad un numero ridotto di monache. Inoltre, l’esperienza del vivere fraternamente in clausura con monache di diverse comunità non può non aprire lo spirito di ciascuna a valutare e apprezzare meglio il proprio monastero. Finalmente, l’applicazione prolungata ad uno studio teologico organico e approfondito richiede ascesi e umiltà: ascesi, in quanto suppone una dedizione intensa e impegnativa dell’intelligenza e della volontà della monaca studente; umiltà, perché ciascuna si sente confrontata con la grandezza dell’oggetto centrale del suo studio e con i limiti inerenti alla singola persona umana.
Come premessa agli Statuti e ai programmi dello Studio Teologico e come orientamento per le Abbadesse, Superiore, Maestre di Novizie e responsabili della formazione delle giovani monache, possono essere utili le seguenti osservazioni, al fine di formarsi un’opinione sullo Studio stesso, giudicarne il suo senso e capirne il suo interesse. Tali osservazioni sono centrate su tre punti principali:
1. La Regola di S. Benedetto
2. La Sacra Scrittura
3. La cultura e la Chiesa oggi
Questi tre punti devono essere necessariamente considerati per valutare lo Studio Teologico non soltanto come realtà in sé, ma nel suo ampio contesto religioso e sociale dei monasteri e della situazione della Chiesa nel nostro tempo.Con fraterna insistenza chiediamo l’attenzione e la benevola disposizione di tutte le Abbadesse, pensando al bene delle loro monache e al futuro delle loro comunità.
1. Regola di S. Benedetto
La Regula Benedicti offre come ideale dì vita monastica fondato sulla preghiera, la lectio divina e il lavoro.
– La lectio divina, all’epoca di S. Benedetto, presuppone un grado culturale superiore al contesto sociale dell’epoca. La lectio divina non è né preghiera, né meditazione. Deve essere intesa come un nutrimento spirituale, una comprensione della Scrittura e dei Padri che stimola la riflessione e il comportamento dei monaci, e vivifica l’Ufficio divino.Se S. Benedetto suppone che i monaci siano capaci di leggere i Padri della Chiesa, possiamo pensare che le monache, oggi, siano incapaci di capire la riflessione teologica dei nostri giorni? Bisogna escludere la possibilità di aiutarle perché si tratta di una cosa nuova? Si può venire loro incontro con conferenze e corsi?
– Il Monastero è una Schola divini servitii. Il senso di “scuola” non può essere limitato a una palestra dove si in segna la teoria e la pratica della vita e dell’ascesi monastica. “Scuola” implica il luogo della maturazione integra della persona. Il luogo dove ogni persona impara a sviluppare e a dare il meglio di se stessa in tutte le dimensioni intellettuali e morali, di comprensione e di virtù. Troppo spesso abbiamo stabilito una dicotomia tra santità e sapere, una certa coerenza tra umiltà e ignoranza. Troppo spesso la vita monastica è stata considerata come un ritorno al seno materno, dove c’è la sicurezza e la stabilità.Il Monastero, come Scuola, deve insegnare che la grande umiltà sta nel misurare le nostre possibilità intellettuali e la grande ascesi sta nella riflessione e nello studio costante e ordinato.
– Il criterio della vocazione è la ricerca di Dio: Si revera Deum quaerit. Mi sembra che sarebbe ridurre indebitamente il significato di quaerere Deum limitandolo alla fedeltà della disciplina monastica. Quaerere Deum – nel senso di amarlo – implica mettere in movimento tutte le nostre facoltà, particolarmente quelle della nostra mente. Cercare Dio, vuole dire anche investire tutto il nostro sforzo per arrivare a una “conoscenza”, a una “sapienza” che va al di là della fede. L’atteggiamento di fede che ebbe S. Anselmo fides quaerens intellectum esprime uno sviluppo genuino dello spirito della Regola.
Come interpretate, care Madri, questi tre punti della Regola di S. Benedetto? Come diventano vivi e reali nelle vostre comunità?
Credete che il noviziato, le conferenze dell’Abbadessa e qualche altra lezione data senza un programma organico risolva la formazione teologica coerente delle vostre monache? Come potete offrire alle vostre candidate la possibilità di equilibrio tra le virtù intellettuali e le virtù morali, il passaggio da un pietismo a una teologia sapienziale bene elaborata?Considerate come hanno risolto il problema i monasteri maschili: formando una scuola di teologia nel proprio monastero o radunando i giovani monaci in un altro monastero, dove poter essere istruiti nella teologia. E questo in dipendentemente dal sacerdozio, come la Pierre-qui-vire (in Francia), Praglia (in Italia), Monserrat (in Spagna). Bisogna mantenere per i monasteri femminili una situazione di inferiorità istituzionalizzata?
Non bisogna accontentarsi di soluzioni di emergenza. Non si può dare al problema della formazione delle monache dei vostri monasteri una soluzione zoppicante. Una giovane monaca, dopo il noviziato e dopo gli anni di professione temporanea, pare opportuno che integri l’insegnamento impartito nella comunità dalla Abbadessa e eventuali cicli di Conferenze con un programma biblico-teologico più organicamente strutturato. La maturità intellettuale di ogni monaca dovrà, nell’avvenire, arricchire la vita interna e la testimonianza esterna di ogni monastero.
2. La Sacra Scrittura
Tutta la Scrittura infatti è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e promuove alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona (2 Tim 3,16).
Sia l’AT che il NT non sono scritti di spiritualità moraleggiante. Contengono non soltanto una testimonianza di fede, ma una profonda riflessione sull’opera creatrice e salvatrice di Dio. La Sacra Scrittura contiene una teologia, una dottrina.Vorrei invitarvi, in questo contesto, a ripensare sull’importanza che ebbe per la storia di Israele la tradizione Sapienziale e per la storia della Chiesa cristiana la teologia di S. Paolo.
– La Sapienza nell’AT esprime il risultato della meditazione, della ricerca e della riflessione di tanti fedeli di Jahve che hanno scrutato e insegnato le vie del Signore. La Sapienza è una maestra insuperabile (Prov 8,1-21). Chiama e invita i figli degli uomini (Prov 9,1ss). Si rivela nelle cose, per colui che sa scoprirla (Prov 8,22-31). Il discepolo la segue e gode tutta la felicità della comunione con essa (Sir 38,24 – 39,11; Sap 7,22-30). La grandezza di Salomone per la sua sapienza: 1 Re 3,5-14; 3,16-28; 5,11.14.21; 10,1-9.23ss. Daniele fu pieno della saggezza divina: Dn 2,14-20.48; 5,11ss. Con la sua sapienza converte i re dei popoli stranieri. Il fondamento della Sapienza è il timore di Jahve: Prov 9,10; Salmo 111,10; Gb 28,28. La grandezza di Israele come popolo viene dalla sua sapienza Dt 4,6-7. In questo contesto si può citare la tradizione classica greca: Platone, nell’Apologia di Socrate dice che il grande sapere porta a “sapere che non si sa niente”.Chi si vanta della propria sapienza non è saggio.Non trovate qui, care Madri, una dimensione importantissima della formazione delle vostre monache? Le preparate a questo tirocinio dell’umiltà e dell’ascesi nello studio? Come viene capito e vissuto da voi l’ideale sapienziale dell’AT?
– La teologia di S. Paolo è una riflessione profonda sul mistero di Cristo. Non è una ripetizione semplice del Vangelo, ma un approfondimento coerente, grandioso dell’opera di salvezza. Sebbene l’Apostolo rifiuti la sapienza di questo mondo – come di orgoglio per i Corinzi, dunque falsa sapienza – Paolo parla di sapienza con i perfetti (1 Cor 2,6ss).Tra i carismi che sono il fondamento della Chiesa: “a uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro, invece, il linguaggio della scienza (1 Cor 12,8). Nella chiesa apostolica, come nell’AT, la sapienza dei credenti è lo sviluppo normale e maturo della fede. Nel quarto Vangelo, accanto alla fede c’è la “conoscenza”, quale comprensione della persona e dell’opera di Cristo, frutto di una lunga riflessione e di una profonda esperienza di fede.
Non vorrei insistere: nella Bibbia c’è un filone che non appare come una novità originale, ma che è un fondamento necessario della fede matura: la sapienza. Non sarebbe questo il frutto maturo della nostra vita monastiaca? Non è giustamente per questo proposito che si giustifica la nostra presenza nel monastero e l’osservanza della Regola di S. Benedetto? Che valore avrebbe il nostro “carisma” monastico senza arrivare a questi culmini di scienza e di virtù contenuti nella Sacra Scrittura? (cfr. RB, cap. 73).
Sull’importanza dell’insegnamento, Mc 6,33-34 ci dà una indicazione molto significativa: “Gesù vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose”. Prima della moltiplicazione dei pani, Gesù sente la mancanza di “insegnamento” sofferta dalla folla. I responsabili di Israele, infatti, non impartivano la dottrina adatta ai bisogni del popolo di Dio. Questa negligenza rendeva il popolo bisognoso non tanto di pane quanto di “conoscenza” della parola di Dio.
Questa indicazione evangelica accenna qual è il dovere primordiale dei pastori: l’istruzione del gregge. Applicando questo principio alla situazione delle comunità benedettine femminili, si può dire, senza forzare il messaggio evangelico, che il dovere di “insegnare”, di “istruire”, di “far maturare” ogni monaca è il dovere primordiale delle responsabili delle comunità. Questo obbligo pesa sulle spalle delle abbadesse come pesava sui pastori di Israele.
3. Cultura e Chiesa oggi
Non sono in grado di valutare il progresso culturale dell’Italia dopo la seconda guerra mondiale. Tuttavia, la mia impressione, fondata in una serie di costatazioni e in paragone con la Spagna e la Francia, che conosco un poco, è un’impressione positiva. L’istruzione della gioventù italiana diventa sempre più ampia e più completa. Lo studio e la promozione scolare va molto al di là di saper leggere e scrivere come nelle precedenti generazioni. Oltre la scuola elementare, moltissimi seguono la scuola media e la media superiore. Un numero impressionante frequenta l’Università. La società italiana diventa una società sviluppata nell’ambito degli studi e della cultura umana: fisica, chimica, matematica, nella ricerca elettronica e di alta tecnologia.
I giovani di oggi sanno molto di più che noi stessi alla loro età. Sono anche stimolati per il continuo sviluppo delle conoscenze della materia, dell’energia e anche dei segreti della biologia.Il sapere umano si è sviluppato con un ritmo incomparabilmente più intenso che la formazione cristiana e le conoscenze teologiche. Queste rimangono il patrimonio degli specializzati.D’altra parte, la gioventù riceve all’interno della famiglia una indipendenza e una responsabilità che provocano un ingresso rapido alla vita degli adulti. Siamo lontani dalla sottomissione alla patria potestas delle generazioni precedenti. In famiglia i “figli” conoscono l’andamento della casa, il come e il perché di tutto. Si permettono la critica e decidono la collaborazione. Sembra che a 14 anni si smetta di essere minorenni.
In questo contesto, la promozione della donna è uno dei segni positivi del nostro tempo. È un fatto socio-culturale, una esigenza sentita da tutte e da tutti: una donna più matura e preparata sul piano umano, più indipendente e responsabile, più capace e più sviluppata personalmente.In questo ambiente scolare, familiare e socio-culturale si trovano le vostre possibili candidate alla vita monastica.
E’ necessario chiedersi:
– Cosa trovano nei nostri monasteri che, dal punto di vista della cultura biblica e teologica, sia comparabile con lo sviluppo maturato nell’ambito del sapere umano?
– Che cosa può offrire il monachesimo femminile italiano per la promozione teologica delle sue candidate?
Questi stessi problemi sono seriamente posti alla Chiesa italiana. Davanti alla diminuzione progressiva dell’insegnamento ufficiale della fede cristiana e davanti all’inadeguato rapporto tra promozione scientifica e letteraria da una parte e quella cristiana e teologica dall’altra, la CEI sta cercando di promuovere la formazione teologica nella Chiesa particolare. Nel Notiziario della CEI del 21-5-1985 si trova il testo che constata tale necessità ed esorta a promuovere l’insegnamento organico e qualificato della teologia per i laici. I vescovi vedono nelle scuole di formazione teologica – in questa stagione post-conciliare – una risposta al bisogno di conoscere in una forma seria e profonda – senza pretendere un livello universitario e accademico – il contenuto della fede, seguendo il discorso teologico nelle sue diverse parti e nei suoi diversi problemi e insegnamenti.Le scuole di formazione teologica che propone la CEI non vanno confuse con le Facoltà, né con gli Istituti di scienze religiose, né con le Scuole per catechisti o iniziative similari.
Le scuole teologiche nascono con lo scopo di introdurre i cristiani al sapere teologico e offrire ai credenti una formazione di base. Per questo è auspicabile, dice il documento della CEI (cfr. Il Regno-Documenti 13/1985) una loro sempre più larga diffusione.
Se la Chiesa italiana avverte questo bisogno – segno di vitalità cristiana – per i laici, come viene posto e risolto il problema della formazione teologica delle vostre giovani?
Non potete pretendere di avere monache istruite in certe scienze o tecniche umane prima di entrare in monastero e lasciate, poi, ad un livello elementare di riflessione teologica. La santità non deve essere più una sublimazione dell’ignoranza.
Un monastero maschile o femminile che non sviluppa e promuove equilibratamente la formazione e la maturità umana e religiosa dei suoi membri, fallisce nella sua più alta missione.
Questa maturità monastica oggi implica una formazione teologica. Negligere questa condizione suppone perdere la prospettiva di una vita monastica ricca, fonte di grazia e di gioia per le persone consacrate, segno di vita e appello di salvezza in mezzo al nostro mondo.
Credo che accanto alla formazione delle monache novitiae et juniores da parte delle responsabili nei monasteri, nasce una istanza nuova: la formazione teologica di tutte le candidate. Lo richiede il sensus ecclesiae del nostro tempo.
Lo richiede una giusta interpretazione della Regola. Lo esige una comprensione solida della Parola di Dio.
Sostenere e valutare lo Studio Teologico, nato qui a Roma, richiede di non prescindere dai tre punti di riferimento presentati. Sono il fondamento principale di qualsia si giudizio e decisione.
Padre Pius Ramon Tragan osb